Oltre i CSE/CDD: comunità diurne alternative
Da oltre 20 anni ho sostenuto, a tutti i livelli, l'importanza di creare una rete di servizi diurni differenziati a seconda della gravità della disabilità, dell'età e delle esigenze più specifiche delle persone.
Oltre ai CSE, perciò, previsti per i gravi e regolamentati nel PSA della Regione, nella zona della Martesana (Nord Est di Milano) abbiamo fatto nascere, dal 1980 ad oggi, ben 17 Centri Diurni Alternativi con proposte più congrue ed articolate per giovani/adulti, spesso con plurihandicap, ma tutti con disabilità di base a livello intellettivo, di grado medio-lieve; medio; medio-grave.
  1. A CHI SONO FINALIZZATE
  2. Queste Comunità Diurne possono avere varie funzioni:

    1. funzione di struttura più adeguata: per quei disabili, inseriti presso i Centri Socio Educativi, ma che, non essendo gravi, richiedono ambienti ed attività più specifiche e stimolanti. Questo, oltre ad offrire un ulteriore sviluppo alle potenzialità di questi giovani, può lasciare liberi alcuni posti per eventuali inserimenti di disabili più gravi presso i CSE, ormai in saturazione (per alcuni si comincia ad avere la lista d'attesa).
    2. funzione di esperienza comunitaria continuativa: si tratta di creare un ambiente favorevole e stimolante per quei giovani che avrebbero troppe difficoltà nell'inserimento lavorativo non protetto e/o che, per scelta loro o per scelta della famiglia, optano per l'integrazione in una Comunità Diurna, preferendo la serenità della situazione personale e la garanzia dell'accettazione in ambiente comunitario, a tentativi, spesso illusori e rischiosi, di inserimento lavorativo normale.
    3. funzione di formazione all'autonomia specifica per l'integrazione sociale (cfr. gli SFA previsti ultimamente dalla Regione): ha come obiettivo lo sviluppo delle capacità di autogestione e di autodeterminazione nei confronti delle opportunità offerte dal territorio. Servizi che intendono far acquisire al disabile capacità di autonomia sociale: cioè di mobilità, di operatività e di scelta così da poter "vivere", successivamente e almeno in parte, esperienze significative in ambienti non protetti (con o senza la mediazione dell'operatore sociale), prevedendo una graduale diminuzione della sua dipendenza dal servizio. La comunità resta ambiente di prima ricca e profonda socializzazione, punto di riferimento e rinforzo per questi tentativi di "espansione" anche all'esterno della comunità stessa.
    4. funzione di preparazione all'inserimento lavorativo: si intende preparare al lavoro quei soggetti portatori di handicap che hanno concluso il proprio iter scolastico/professionale che vivono un periodo di attesa per l'inserimento lavorativo che, purtroppo, può esser anche molto lungo (mediazione – formazione al lavoro).
    5. funzione di ricarica: accogliere soggetti che hanno avuto esperienze frustranti o fallimentari nel mondo del lavoro, che possono, con un'adeguata elaborazione e nuova preparazione, non solo pratica, ma anche psicologica, ritentare, dopo un certo tempo, l'inserimento lavorativo esterno.

    In conclusione: queste comunità possono essere considerate come "sistemazione definitiva" o come "passaggio per un successivo riorientamento sociale o per un inserimento in un ambiente lavorativo meno protetto.

  3. ANALISI DELLE NOSTRE COMUNITÀ
  4. Dopo varie realizzazioni, analisi, verifiche e riadattamenti (soprattutto in seno alla Cooperativa "Punto d'Incontro" che avendo più Centri Diurni analoghi ha approfondito questa tematica) si sono "specializzate" varie Comunità per gruppi più omogenei.
    A volte, per evidenti motivi organizzativi, non si sono potuti suddividere i giovani in strutture diverse, ma sempre si sono tenute presenti le diversificazioni delle finalità specifiche e delle modalità di approccio.
    Ai vari Centri si sono dati anche nomi e sigle specifiche:
    Comunità Diurne Occupazionali (CDO)
    Comunità Diurne di Ergoterapia (CDE)
    Comunità Diurne di Socializzazione (CDS)
    Comunità Diurne di Mediazione (CDM)

    N.B. Ritengo sia utile progettare, in un prossimo futuro, almeno un Centro specifico per persone con handicap dovuti ad incidenti (Comunità Diurna per Traumatizzati: CDT), che di solito hanno problemi specifici e che con difficoltà si adattano a convivere con persone con handicap di altro tipo. Ed un Centro per persone con disabilità intellettive non gravi, ma con età molto avanzata (Comunità Diurna per Anziani: CDA).

    APPROFONDIMENTO

    Queste nostre Comunità hanno finalità, obiettivi e modalità in buona parte convergenti, ma anche specificità che li differenziano notevolmente.

    1. Le convergenze sono fondamentali e possiamo così sintetizzarle:

      • impostazione dei Centri come Comunità
      • valorizzazione dell'età adulta delle persone inserite
      • profonda accettazione dell'handicap: dei limiti fisici e intellettivi, ma anche dei problemi psicologici e nevrotici
      • finalità fondamentale: il benessere del soggetto (quello possibile naturalmente!) e lo sviluppo delle autonomie
      • approccio fondamentalmente psicologico per creare un ambiente favorevole: relazione positiva, alleanza, empatia, comunicazione non verbale positiva
      • valorizzazione del rapporto affettivo, profondo, ma corretto
      • importanza della socializzazione, sia interna alla comunità che sul territorio
      • partire da ciò che ognuno è capace di fare e che gli piace fare
      • progettualizzazione dell'evoluzione e del positivo: attualizzazione (far applicare le potenzialità) e generalizzazione (allargare le capacità acquisite in ulteriori campi paralleli) delle capacità personali
      • coscienza del valore essenziale dell'accordo tra gli operatori, ritenuto non "utilità", ma parte essenziale della professionalità
      • scelta di formazione di operatori sociali con mentalità di lavoratori in proprio e con propensione all'animazione
      • impostazione precisa basata su documenti psicopedagogici scritti, ridiscussi in équipe e nello scambio di esperienze reali con altre comunità; supervisione
      • rapporto ricco, strutturato e regolamentato con i familiari
      • collaborazione organizzata e valorizzante dei volontari e dei giovani del servizio civile volontario
      • collegamento con la rete dei servizi territoriali e significativo rapporto con il territorio.

    2. Analizzo ora le specificità delle varie proposte.
    3. COMUNITÀ DIURNE OCCUPAZIONALI (CDO)

      • Servizio indicato per i meno autonomi: giovani con handicap intellettivo di grado medio e medio-grave
      • Strutturazione e proposte: esperienza comunitaria organizzata in più laboratori con pluralità di proposte che partono fondamentalmente da ciò che piace fare (attività occupazionali, attività psicomotorie, espressive e ludiche, musicoterapia e ippoterapia, computer, uscite sul territorio, ecc.): attività intese soprattutto come esperienze intermediarie di relazione
      • Finalità: "progettualizzare" l'evoluzione delle positività emergenti; particolare attenzione all'autonomia personale, psicologica ed affettiva; autocoscienza della fondamentale continuità dell'integrazione nella comunità; benessere attraverso il sostegno, il rinforzo, l'alleanza in esperienza comunitaria.
      • Modalità di approccio: contesto comunitario di accoglienza attiva e creativa (accentuazione della metodologia dell'animazione); ruolo degli operatori più accentuato come protettivo e direttivo; necessità di elaborazione psicologica con i familiari, mirata soprattutto all'accettazione vera del familiare; rapporti col territorio meno specifici e più a livello di gruppo.

      COMUNITÀ DIURNE DI ERGOTERAPIA (CDE)

      • Servizio indicato per persone con handicap intellettivo di grado medio e medio-lieve
      • Strutturazione e proposte: esperienza comunitaria che si basa fondamentalmente sul lavoro (anche se nel massimo rispetto dei ritmi e delle capacità), vissuto non solo come attività occupazionale, ma come vera ergoterapia; autostima che nasce dal saper "produrre"; varietà di proposte di lavoro indirizzate soprattutto alla ricchezza di esperienze. Naturalmente questa accentuazione lavorativa prevede anche attività integrative, così da rendere l'impegno lavorativo più intervallato e con valore socializzante.
      • Finalità: acquisizione dell'identità di adulto e di una corretta autostima nella coscienza delle proprie capacità e dei propri limiti; particolare attenzione all'autonomia operativa, intellettiva e psicologica.
      • Modalità di approccio: contesto di tipo lavorativo; valorizzazione anche delle capacità operative; lavoro come acquisizione di competenze di base; partire da ciò che piace, ma non solo; richiamo alle regole sociali e comunitarie (motivazione etica); esperienza comunitaria anche di piccolo gruppo.

      COMUNITÀ DIURNE DI SOCIALIZZAZIONE (CDS)

      • Servizio indicato per persone soprattutto con problemi psichici
      • Strutturazione e proposte: esperienza comunitaria fondamentalmente socializzante e/o risocializzante, attraverso attività che prevedono scelte, momenti di pausa e momenti programmati di ascolto; proposte molto personalizzate; notevole utilizzazione anche delle uscite sul territorio.
      • Finalità: benessere psicologico; capacità di relazione attraverso l'elaborazione e la percezione di "alleanza"; sviluppo dell'autonomia soprattutto a livello psicologico, affettivo, etico.
      • Modalità di approccio: contesto di tipo socializzante; analisi e comprensione delle disforie; importanza del rapporto interpersonale (anche duale) soprattutto, con comunicazione non verbale positiva; intervento direttivo, anche forte, ma con funzione "antidisgregante", come risposta a richiesta implicita del giovane stesso; comprensione ed accettazione di momenti di autoisolamento "liberatorio" e/o di "autocompattamento" dell'emotività dilagante.

      COMUNITÀ DIURNE DI MEDIAZIONE A LAVORO (CDM)

      • Servizio indicato per persone con handicap intellettivo medio-lieve e lieve e senza problematiche eccessive dal punto di vista psichico: giovani, quindi, per cui è ipotizzabile,dopo un percorso maturativo, l'inserimento lavorativo o in Cooperative di tipo B o in ambito lavorativo non protetto (anche se con attento monitoraggio).
      • Strutturazione e proposte: esperienza comunitaria in "struttura" lavorativa, basata quindi essenzialmente sul lavoro organizzato e strutturato, in prospettiva di tirocini e borse lavoro all'esterno della comunità.
      • Finalità: assunzione dell'identità di adulto lavoratore; favorire l'evoluzione anche attraverso l'apprendimento di competenze lavorative di base (uso di strumenti, cicli di lavoro, ordine, piccola manutenzione, capacità di tenuta) e la percezione realistica dell'ambiente di lavoro (spazi, orari, ruoli, regole, capacità di adattamento, autocontrollo e necessità di controllo esterno); attraverso la varietà di attività lavorative e la moltiplicazione delle esperienze favorire la capacità di scelta, l'autocoscienza delle proprie capacità e dei propri limiti; attività "integrative" vissute come attività sociali e di socializzazione; sviluppo dell'autonomia operativa, intellettiva ed affettivo-sessuale, ma soprattutto l'autonomia psicologica e la correttezza relazionale; coscienza della "provvisorietà" dell'integrazione in struttura comunitaria protetta.
      • Modalità di approccio: contesto lavorativo "produttivo"; ruolo degli operatori più paritario (es. nella pausa), ma più direttivo dal punto di vista tecnico/operativo (es. nel lavoro); restituzioni periodiche con i familiari circa gli avanzamenti dei progetti e le eventuali prospettive; continua mediazione col territorio; collegamento con il servizio dell'ASL per gli inserimenti lavorativi mirati; necessità di monitoraggio costante con personale specifico.

NOTA FINALE

Come ben si può vedere, la recente proposta di riconoscimento regionale dei Servizi Formazione all'Autonomia (SFA) per la nostra zona, entra in "medias res", convergendo col nostro lavoro sulla necessità di interventi specifici per queste categorie di disabili, ma divergendo su alcune impostazioni di fondo delle nostre comunità.
Gli SFA evidenziano alcuni aspetti della nostra esperienza: la socializzazione intesa anche come rapporto continuo e radicato col territorio; la coscienza di essere adulti; la valorizzazione delle capacità residue; ecc.
Ma gli SFA, se esasperati nella loro funzione e se ritenuti come esaustivi dei bisogni reali, suscitano anche notevoli perplessità:

  • non mi pare sia presente tutta la complessità di interventi necessari per questa tipologia di disabili e, quindi, che questa proposta non sia che una possibilità, non l'unica ed esclusiva. Mi pare infatti che ci si "illuda" che tutti (o quasi) possano seguire questo percorso di socializzazione esterna, con la finalità di raggiungimento di una autonomia completa. È fondamentale presunzione di cambiare l'altro? (Lieve delirio di onnipotenza? Mi ricordo che circa 15 anni fa si dicevano più o meno le stesse cose per i giovani inseriti nei CSE!). Ritengo fondamentale invece un'accettazione profonda dell'altro, più che la tensione per un suo continuo cambiamento (si tratta di giovani/adulti!). Soprattutto chi ha già una certa età, può "cambiare" (e quasi solo psicologicamente) solo se "sta meglio" e non in base a progetti forzati
  • ritengo che si dia troppo valore alle relazioni esterne, per lo più superficiali ed a volte, anche ansiogene, mentre per me la vera socializzazione maturativa avviene soprattutto in ambiente, sì aperto, ma comunitario, in rapporti continuativi e profondi
  • per la crescita psicologica di una persona do molta importanza all'esperienza lavorativa, anche se a vario livello; ma questa esperienza per la maggior parte si realizza nell'ergoterapia, nel lavoro con protezione e non in inserimenti spesso illusori e rischiosi
  • ho il sospetto, infine, che questa proposta sia determinata da motivi di programmazione economico-sociale, più che da un'attenzione completa alle esigenze sociali, alle esigenze di questi nostri giovani.