Vera capacità relazionale
Molti operatori, educatori professionali, responsabili di comunità si chiedono spesso se quanto sentono, fanno, esprimono nel rapporto con gli adolescenti/giovani/adulti con cui vivono l'esperienza di vita comunitaria sia vera relazione profonda, corretta, positiva.
La relazione è un insieme tale di sentimenti, bisogni, energie, azioni, manifestazioni, che non è facile rispondere a questa domanda.
È, certamente, capacità di andare "oltre" i propri doveri di impegno e servizio, di andare oltre la correttezza e il rispetto reciproco. Queste cose sono necessarie (e non sono poco!), ma non sono sufficienti.
Ma cos'è questo "oltre" e come si manifesta?
Tenterò di proporre alcune modalità di rapporto che ritengo indicatori utili per una riflessione ed autovalutazione personale.

VERA CAPACITÀ REALZIONALE SIGNIFICA:

  • Accettazione profonda dell'altro, come "persona".
    Nella sua diversità; nelle sue capacità e difficoltà; nelle sue preferenze e gusti. Non avere come prima istanza l'intenzione di cambiarlo: non sentirsi soprattutto pedagogista. Mantenere il proprio ruolo con coerenza e autorevolezza, ma senza spirito autoritario. Non volere solo "il suo bene" ma "volergli bene" e farglielo sentire.
  • Scoprire nell'altro il positivo, il bello, ciò che altri non vedono.
    È riscoprire sempre da capo. È capacità di stupire ancora. Si dice che l'amore è cieco. Al contrario: è vedere di più e in profondità. È, come minimo, obbiettività favorevole: presupporre, sperare, valorizzare. È stima profonda. È far sentire l'altro importante, almeno lì!
  • Desiderare soprattutto che l'altro sia felice: che stia bene con sé, con gli altri, con le cose. È creare un clima favorevole e gratificante. L'operatore è un "tessitore di relazioni positive". È diffusore di vitalità, favorisce la "gioia di vivere". Vivere in gruppo comunitario, è "sentirsi a proprio agio": serenità e sicurezza, benessere psicologico.
  • Gustare l'essere vicini.
    È sensibilità e attenzione. Saper trovare tempo per ognuno. Essere vicini senza pietismi e infantilismi, ma anche senza angoscia di impotenza e di incompetenza. È avere il piacere di ascoltare, capire, intuire. Saper arrivare all'ascolto"terapeutico" che riceve, elabora, sdrammatizza, sostiene, libera.
  • Far sì che l'altro ti senta suo alleato.
    Ti deve sentire dalla sua parte, anche se non gli dai ragione; anche se, in qualche momento, puoi fare poco per lui. È capacità di suscitare fiducia. È scoperta reciproca dell'irripetibilità e dell'unicità del rapporto: coscienza della profondità della relazione, tranquillità affettiva, sicurezza di non essere traditi.
  • Condividere con l'altro le esperienze di vita comunitaria.
    Condividere piaceri e difficoltà. Gustare insieme le esperienze straordinarie, ma anche le piccole"cose ordinarie". Lo straordinario è come il cacio sui maccheroni, che devono essere però già pasta buona. È fare progetti insieme, per quanto si può! È prospettiva, dimensione di profondità nel tempo, creatività, capacità di rischio, resistenza.
  • Disposizione interiore a comprendere.
    Qualche errore lo si commette e qualche frustrazione la si riceve. È importante avere pazienza e saper comprendere: e non tanto e solo perché sei "bravo" tu, ma perché leggi e interpreti correttamente quanto l'altro vive e soffre, ha vissuto e sofferto.

NON C'È RELAZIONE POSITIVA INVECE:

  • Se... si pensa troppo spesso che si potrebbe fare altro, "ben altro": se si ha la sensazione di essere sciupati, inutili.
  • Se... non si ha più il piacere di lavorare in gruppo, se ci si isola e ci si chiude agli altri.
  • Se... non si ha più duttilità, energia di cambiamento, voglia di inventare, se non si sorride quasi più.
  • Se... si vive troppo spesso negativamente la comunicazione non verbale dell'altro.
  • Se... si instaura troppo facilmente con gli altri (responsabili, operatori, volontari, obiettori, genitori, giovani inseriti) un confronto/scontro: su chi è il più bravo, il più intelligente, chi ne sa di più, chi deve porre le regole.
  • Se... istintivamente, e troppo spesso, ci si lamenta di tutto e di tutti: se ci si senti oberati di lavoro, se ogni problema diventa un "gran" problema, se si è burn-out.
  • Se... si viene al lavoro demotivati: solo perché "è il proprio lavoro".